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martedì 1 aprile 2014

"Paese d'ombre" di Giuseppe Dessì (1909-1977)


 
Giuseppe Dessì è stato uno dei grandi narratori della nostra letteratura. In questo suo romanzo, vincitore del Premio Strega 1972, lo scrittore sardo descrive la sua terra, quella Sardegna della sua infanzia (era nato a Villacidro, in provincia di Cagliari), a cui era rimasto legato tutta la vita e che fa da sfondo a tutte le sue opere narrative.

La Sardegna che egli ci racconta in questo libro è quella dei primi anni del ‘900: una regione antica e rurale, abbandonata dalle autorità locali e dalle istituzioni che - nonostante l’unificazione dell’Italia avvenuta nel 1861 - non aveva nulla a che fare con il Continente, dal momento che il suo mondo, anche per le differenti condizioni geografiche e culturali, contrastava con quell’astratta e retorica idea nazionalistica uscita dalle mani di Mazzini e Garibaldi. Era ancora una terra che continuava ad essere tenuta nel conto di una colonia da sfruttare, ed i suoi abitanti erano considerati alla stregua dei briganti calabresi, rozzi e ignoranti, incapaci di darsi un futuro migliore. I sardi, scrive l’autore, “si convincevano di essere sudditi e non concittadini degli italiani, e sempre più si abbandonavano alla loro secolare apatia e alla totale sfiducia nello Stato.

In questo contesto socio-politico si snoda la vicenda del romanzo, che è ambientata in un immaginario paesino della Sardegna, Norbio (potrebbe essere Villacidro, il borgo natio dello scrittore) e ruota intorno all’ascesa sociale di un povero ed umile ragazzo, orfano di padre (Angelo Uras), il quale, anche grazie all’aiuto della ricca e nobile famiglia Fulgheri (il defunto avvocato Don Francesco Fulgheri lo aveva nominato suo erede universale) diventa padrone di uno dei più grossi patrimoni terrieri del circondario, fino ad essere eletto sindaco del proprio paese. Assistiamo, così, al lento passaggio del nostro personaggio dalla condizione contadina a quella borghese, dalla condizione di uomo libero a quella di uomo pubblico, osservato e criticato. Egli, però, senza mai ingannare i suoi elettori, durante il suo lungo mandato riesce a cambiare il volto del suo paese attraverso importanti riforme; in particolare, il giovane sindaco si batte strenuamente per impedire il taglio sistematico di migliaia di ettari di bosco – su cui gli abitanti di Norbio esercitavano i loro antichi diritti di pascolo e di legnatico – da parte di una Società Mineraria per alimentare e sostenere le fornaci delle Regie Fonderie della zona.

Lo scrittore, per mezzo del protagonista del suo libro – che assurge a paladino dell’ambiente e sostenitore della messa in sicurezza del patrimonio boschivo della sua terra - svela tutta la sua attenzione e la sua sensibilità verso una problematica così delicata come la salvaguardia della natura e dei boschi. E’ molto bella la descrizione del paesaggio sardo che ne fa l’autore, con le sue foreste, antiche quanto la stessa isola, margini naturali alle alluvioni e alle frane, con i suoi monti che chiudevano le vallate, con i suoi olivi secolari, così simili ad enormi pachidermi “di cui si percepiva il silenzio, non come si percepisce il silenzio delle cose, ma come si percepisce il silenzio di persone che stanno zitte e pensano”. Il fascino di quella natura selvaggia e arcaica “che faceva pensare a ere geologiche scomparse” è sempre presente tra le righe del romanzo, così come sono presenti, con le loro vicende umane, gli innumerevoli personaggi che nell’insieme contribuiscono a fare del libro un romanzo corale, un affresco storico di tutto un popolo, di straordinaria intensità.
Colto e armonico appare lo stile narrativo, che non delude mai il lettore amante della bella scrittura.

(maggio 2013)

 

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