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lunedì 9 febbraio 2015

Siamo destinati a ritornare nel Pleistocene ?!



Non saprei come classificare questo libro: un romanzo fantascientifico, oppure un saggio sulla storia dell’evoluzione umana o piuttosto un racconto anacronistico e metaforico sulle prime invenzioni dell’uomo. Non saprei in quale settore narrativo riporlo, volendo riordinare gli scaffali di  un’ipotetica libreria. E’ un testo che si allontana un po’ dai classici generi letterari e, in quanto difficilmente catalogabile, avrebbe potuto allontanare un lettore come me, più attento alle certezze narrative. Ma, proprio grazie a questa varietà di interpretazioni, l’opera letteraria di Roy Lewis “il più grande uomo scimmia del pleistocene” ha incontrato il mio particolare favore. E’ un romanzo molto originale, al di là della sua forza umoristica, la cui lettura offre lo spunto per fare innumerevoli riflessioni sulla modernità, su questo continuo e illimitato sviluppo tecnologico e sulle sue infinite distorsioni e aberrazioni. Ma è anche uno scritto che ci fa capire quanto lunga e difficile sia stata la storia dell’evoluzione socio-scientifica del genere umano, nonostante la sua efficace vis comica.

Lo scrittore inglese ci riporta indietro nel tempo di circa 3 milioni di anni, nell’Africa Centrale del Pleistocene, dove vive una numerosa famiglia di cavernicoli o uomini scimmia, i cui componenti si esprimono con un anacronistico e divertente linguaggio moderno. Sembra quasi che gli stessi personaggi, pur vivendo in un’epoca primordiale, già si identifichino in certe espressioni tipiche dei nostri tempi e della nostra cultura. Pare che vogliano precorrere i tempi, pur non avendo ancora le basi della conoscenza.

I protagonisti principali sono i due fratelli Edwards e Vania (zio Vania, per il nipote che è anche la voce narrante). Il primo è uno strenuo sostenitore del progresso e dello sviluppo in tutte le sue forme, sempre ispirato da una grande creatività, una sorta di antenato di Leonardo da Vinci, che si appresta a fare le sue grandi scoperte scientifiche; il secondo è invece un moderato conservatore che non vuole forzare la natura, perché teme gli impatti negativi che le invenzioni potrebbero avere sull’ambiente circostante. Questa diversità di vedute e di condotta li porta spesso a litigare, come quando discutono sull’opportunità o meno di avere un fuoco nelle notti fredde.  Secondo zio Vania il fuoco rappresenta una sorta di vulcano attivo che avrebbe finito per distruggere le foreste e la natura (...e come non dargli ragione, visti gli scempi moderni); per Edwards (che l’ha scoperto), è invece uno strumento affascinante, con potenzialità incredibili: ci si può difendere dagli animali feroci, cuocere i cibi, temperare le lance. Inoltre, con questa fondamentale scoperta, i nostri ominidi possono finalmente scendere dagli alberi, su cui avevano sempre vissuto lontano dai pericoli, e sistemarsi in una bella caverna, “la più lussuosa della zona”, dopo aver cacciato gli orsi che vi abitavano.

E quando Edwards arriva a progettare anche l’arco con le frecce, per la prima volta quel nostro antenato prende coscienza della propria forza: il fuoco e l’arco possono rendere invincibile il gruppo a cui egli appartiene, sono in grado di assoggettare altre popolazioni e conquistare altri territori.  Ma queste invenzioni si riveleranno fatali per il suo inventore.

“La natura non sta dalla parte del più forte” dice Edwards ai suoi figli, “ma dalla parte della specie che sa far valere un vantaggio tecnologico sull’altra” . E’ una frase simbolica quella che l’autore fa dire al nostro personaggio, l’espressione che sintetizza metaforicamente il percorso egemonico  delle varie civiltà storiche che si sono susseguite nel corso dei millenni e riassume il principio su cui si basa il potere dominante di qualsiasi epoca.  E’ l’esordio, sulla scena del mondo, della potenza tecnologica che - se nell’Africa del Pleistocene poteva essere rappresentata dal fuoco o dall’arco, attraverso i quali la “specie” poteva far valere la sua forza - nei tempi moderni è senz’altro raffigurata dalle armi di distruzione di massa, capaci di distruggere uomini e cose. Mi viene in mente a questo punto una famosa frase di Albert Einstein il quale affermava: “Non so con quali armi verrà combattuta la Terza Guerra Mondiale, so però con quali armi verrà combattuta la Quarta: con la clava”. Siamo destinati, quindi, ad un ritorno al passato? ...Un ritorno nel Pleistocene con l’arco e le frecce?

 

 

6 commenti:

  1. Ma quanto mi ha divertito questo libro!
    L'ho letto diversi anni fa. Molto, molto brillante.

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    1. Fa sempre piacere trovare qualcuno che condivide le tue letture :-). E' vero: il libro è molto divertente

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  2. Ciao Remigio, Mia Euridice e tu mi avete incuriosita con la descrizione e il commento a questo libro. Mi sa che lo leggerò anch'io :) Grazie

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    1. Non te ne pentirai! Grazie a te per essere passato da queste parti :-)

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  3. Quello che viene definito progresso non sempre infatti lo è. Come non sempre l'intelligenza umana viene utilizzata a scopo di bene. Basta pensare alla bomba atomica. E la scienza per quanto avanzi non sarà mai capace di dare risposte esaustive sul profondo e misterioso significato della vita. Sapremo tutto del come ma nulla del perchè.

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