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domenica 18 settembre 2016

Uomini e personaggi: realtà e letteratura



Io credo che la letteratura sia l’unico strumento espressivo che consente di avere – attraverso l’uso delle parole - un incontro ravvicinato ed esclusivo con qualsiasi tipo di personaggio, fosse anche il più spregevole moralmente. E questo, senza alcun turbamento e senza alcuna “incazzatura” a carico di chi legge. E’ noto che le persone con cui si ha a che fare tutti i giorni hanno pregi e difetti: ci si va d’accordo e ci si litiga, ci si annoia e ci si sente in perfetta armonia. Sono persone che, nella maggior parte dei casi, abbiamo scelto noi perché più vicine alla nostra cultura, al nostro modo di pensare, ai nostri interessi. Eppure, in una società così complessa come questa in cui viviamo, nonostante la tecnologia ci permetta di comunicare con i mezzi più diversi, appare sempre più difficile e faticoso confrontarsi con chi ci sta vicino. Insomma, interloquire con gli altri, ascoltare le loro ragioni o far valere le nostre, non sempre genera piacere e divertimento.
Viene allora voglia di rifugiarsi nella lettura, a volte più appagante e conciliante del confronto/scontro con i nostri simili.  E nella lettura, i personaggi che si possono incrociare sono davvero i più difformi; sono talmente stravaganti e poco affidabili che di sicuro - se li dovessimo veramente conoscere nella realtà di tutti i giorni – difficilmente desidereremmo averli come amici e credo che mai permetteremmo loro di invadere la nostra sfera privata. Questi soggetti, affascinanti o pericolosi, narcisi o inetti, buoni o crudeli, si lasciano osservare e giudicare tra le righe con distacco e disincanto, perché non entrano mai in rapporto diretto con i nostri sentimenti e non mettono in dubbio le nostre certezze e la nostra morale. Insomma, difficilmente urtano la suscettibilità o la pazienza che ci ritroviamo, come invece accade quando discutiamo con un qualsiasi conoscente.
Dai personaggi dei libri – lo possiamo ben dire – accettiamo ogni comportamento, fosse anche la peggiore delle azioni, ma non transigeremmo se una tale condotta sconveniente appartenesse ad un amico o ad un familiare. Il poeta russo Iosif Brodskij, nel ricevere il premio nobel per la letteratura nel 1987 ebbe a dire: “Mi pare che un libro, come interlocutore, sia più fidato di un amico o dell’innamorata. Un romanzo o una poesia non è un monologo, bensì una conversazione tra uno scrittore e un lettore; una conversazione, ripeto, del tutto privata che esclude tutti gli altri – un atto, se si vuole, di reciproca misantropia.  Un’opera d’arte, in special modo un’opera letteraria e una poesia in particolare, si rivolge all’uomo tête-àtête, stabilendo con lui rapporti diretti, senza intermediari di sorta”. Sia ben chiaro: esiste ancora un discreto piacere nell’intrattenersi, magari senza incorrere in eccessivi tormenti, con le persone vere. E si spera, naturalmente, che siano sempre di nostro gradimento, simpatiche e gentili e soprattutto dotate di un minimo di intelletto. Provate a discutere con un cretino in una qualsiasi circostanza: “prima ti trascina al suo livello – diceva Oscar Wilde – e poi ti batte con l’esperienza”. E provate poi a parlare con chi vuole insegnarvi a vivere o inculcarvi la sua morale o avere sempre ragione e che si crede superiore a voi. Quanta fatica e quanta pazienza occorre avere quando si incrociano siffatti individui! Eppure sono tutte persone che consideriamo normali: non escono dai libri.
Con un libro tra le mani, invece, comodamente seduti in poltrona - senza innervosirci e senza soffrire – possiamo addirittura seguire un individuo pluriomicida come Raskol'nikov, protagonista del romanzo “Delitto e Castigo” di Fedor Dostoevskij. Ma chi vorrebbe mai averlo come amico o come fratello un tale soggetto? Possiamo affezionarci, però, alla figura di Hanta, che esce dalla penna dello scrittore ceco Bohumil Hrabal, protagonista del libro “Una solitudine troppo rumorosa” . Costui è un uomo solitario che da 35 anni lavora in uno scantinato di un vecchio palazzo di Praga, pressando libri mandati al macero e bevendo ettolitri di birra, forse per dimenticare la sua condizione di solitudine. I libri più importanti, quelli che meritano di essere salvati perché contengono idee e pensieri eterni, Hanta li salva dalla distruzione ed ogni sera, quando ritorna a casa, riempie la sua borsa di quel prezioso carico. Se poi vogliamo divertirci, possiamo farlo con i due fratelli cavernicoli Edwards e Vania, protagonisti del libro “Il più grande uomo scimmia del Pleistocene” dello scrittore inglese Roy Lewis, i quali pur vivendo nell’Africa di quasi 3 milioni di anni fa, si esprimono con un anacronistico e divertente linguaggio moderno. Con un libro come “Aspettando Godot” di Samuel Beckett possiamo fare conoscenza con i due più bizzarri e insensati personaggi della letteratura: Vladimiro ed Estragone, che si incontrano per caso una sera in aperta campagna, per  aspettare un certo Godot, di cui non sanno nulla, non l’hanno mai visto e non sono sicuri se verrà a quell’appuntamento così assurdo. Possiamo poi imbatterci in Harry Haller, un intellettuale cinquantenne che non esercita alcuna professione (nessun’idea gli era più odiosa e ripugnante che quella di avere un impiego, osservare un orario, obbedire agli altri), il quale si sente metà uomo e metà lupo, dilaniato e reso infelice da questa duplice coscienza di spirito e di istinto, sempre sull’orlo del suicidio! Chi lo volesse conoscere può aprire il libro di Hermann Hesse “Il lupo della steppa”. Certo, risulta essere un amico sopportabile tra le pagine di un libro, ma chi mai potrebbe accompagnarsi a lui nella vita reale? E la stessa cosa si può dire di Cicikov, che incontriamo nel romanzo “Le anime morte” di Gogol. Questo personaggio è un affarista spregiudicato e senza scrupoli, un abile truffatore, un millantatore alla continua ricerca di potere e di ricchezze, che viaggia in lungo e in largo nella Russia zarista. E poi c’è lui: Pinocchio, di Collodi il quale ci rappresenta e ci somiglia, con i suoi vizi e le sue virtù, con i suoi momenti di tristezza e con i suoi slanci di gioia e di affetto, con la sua furbizia, ma anche con la sua ingenuità. Mi fermo qui, ma potrei continuare perché la letteratura è un pozzo senza fondo di personaggi. Però se abbiamo “voglia” di persone “normali ed equilibrate”, dobbiamo cercarle fuori dai libri. Ma attenzione: spesso sono noiose…opportuniste… invadenti…sciocche…inconcludenti. E ci fanno arrabbiare.

martedì 6 settembre 2016

Martin Eden: il sogno del riscatto sociale nell'America di fine Ottocento



Visse una vita breve ma intensa,  minata soprattutto dagli eccessi alcolici, lo scrittore americano Jack London, l’autore de “il richiamo della foresta” e “Zanna bianca”, tanto per ricordare i suoi libri più famosi. Morì suicida a soli 40 anni, scrivendo intensamente, viaggiando per il mondo e facendo mille mestieri, tra cui il marinaio. E da questa sua personale esperienza di vita nacque, probabilmente, la figura di Martin Eden, il giovane marinaio protagonista dell’omonimo romanzo (Garzanti editore), scritto qualche anno prima di morire.

La storia si dipana sullo sfondo della grande America di fine Ottocento e dei primi anni del Novecento, nel pieno della sua espansione sociale ed economica, quell’America che rappresentava il sogno di tutti gli uomini ansiosi di riscatto sociale e di miglioramenti economici, crocevia di avventure grandiose e di sofferenze, di miseria e di benessere, dove le differenze di etnia, di classe sociale e di censo erano, nonostante tutto, molto marcate. Il marinaio Martin Eden altri non è che un cittadino ventenne di quella Nazione (alter ego dello scrittore), degno rappresentante di quella società povera e sfruttata che si affacciava alla dura realtà della vita, che rincorreva il suo sogno di riabilitazione sociale, desideroso di affrancarsi da quella condizione di miseria e di sofferenze fisiche e morali in cui la sorte sembrava volerlo definitivamente destinare. Il protagonista del libro inizia a capire che lo studio, i libri, la musica e l’arte in generale sono strumenti molto potenti, capaci di restituire agli uomini dignità e libertà di pensiero, fondamentali per poter intraprendere anche un cammino di miglioramento socio/economico. E l’occasione gli si presenta il giorno in cui, invitato a pranzo a casa di un suo giovane conoscente ricco e borghese - a cui aveva salvato la vita durante una rissa tra ubriachi - resta folgorato dalla bellezza fisica e spirituale di sua sorella Ruth, prima ancora che dalla magnificenza della dimora in cui entrambi vivevano “voglio respirare l’aria che si respira in una casa come questa” - dice Martin – “un’aria piena di libri e quadri e belle cose, in cui la gente parla a voce bassa ed è pulita, ed ha pensieri puliti”.

Ruth diventa il sogno d’amore di Martin, la donna per cui valeva la pena di vivere e lottare, idealizzata come una figura sublime e divina, nonostante fosse il prototipo della ragazza conservatrice per natura e per educazione, “cristallizzata in quel cantuccio della vita in cui era nata e si era formata”, attenta alle convenzioni sociali, amante della ricchezza, espressione della facoltosa borghesia americana dei primi del ‘900. Infatti, consapevole del fascino che esercitava su quel rude marinaio, lei avverte il segreto impulso di “plasmare quell’uomo sul modello della vita degli uomini che vivevano nel suo particolare cantuccio d’esistenza” immaginando di poter condurre un giorno, insieme al suo amato, una felice esistenza senza scosse e frizioni, simile a quella che avevano vissuto i suoi genitori, che per lei costituivano l’ideale insuperabile dell’affinità amorosa.

Martin appare spaesato e impaurito, si aggira come un animale ferito in un territorio sconosciuto, così diverso dal suo; egli è alla disperata ricerca di essere accettato da quel mondo che custodiva, non solo la ricchezza, ma anche quegli strumenti culturali a cui aspirava ardentemente. Avendo sempre vissuto in un mondo meschino, ora vuole “ purgarsi da tale miseria che aveva segnato ogni giorno della sua vita, voleva innalzarsi verso il regno ideale in cui erano le classi superiori....le ricchezze che doveva riuscire ad assicurarsi a tutti i costi erano la bellezza, l’intelligenza e l’amore”.

Il raffronto tra la sua condizione sociale, intrisa di miseria e di ignoranza, e la civile società ricca e borghese a cui appartiene Ruth, rappresenta la molla che lo proietterà verso il rilancio sociale e culturale attraverso un percorso formativo di studio e di letture frenetiche, che lo porteranno verso grandi traguardi letterari, verso la ricchezza e la notorietà. Ma proprio nel momento del grande successo Martin Eden, il marinaio anarchico e indipendente, si accorge della sua inadeguatezza per quel mondo, un mondo che si rivelava un’illusione, falso e ipocrita, abitato da persone che nonostante leggessero gli stessi libri che leggeva lui, non avevano tratto da essi alcun insegnamento morale. Ma era troppo tardi per tornare indietro, nel suo mondo: anche quello, ormai, lo disgustava perché  “...troppe migliaia di libri aperti avevano creato un abisso....si era esiliato con le proprie mani, viaggiando nel vasto reame dell’intelletto sino al punto in cui non era più possibile far ritorno”.
     
Attraverso questo romanzo, bello e crudele, Jack London intende rivolgere una feroce critica a quella società borghese e perbenista dell’America del suo tempo, che rincorreva falsi miti e valori sbagliati, attenta solo agli agi e agli interessi di persone sciocche, infantili e superficiali.

venerdì 2 settembre 2016

Una poesia al giorno...


Dicevano gli antichi che una mela al giorno leva il medico di torno. E se ci mettessimo pure una poesia?
 
CHI SONO

Son forse un poeta?
No, certo.
Non scrive che una parola, ben strana,
la penna dell'anima mia:
"follia".
Son dunque un pittore?
Neanche.
Non ha che un colore
la tavolozza dell'anima mia:
"malinconia".
Un musico, allora?
Nemmeno.
Non c'è che una nota
nella tastiera dell'anima mia:
"nostalgìa".
Son dunque... che cosa?
Io metto una lente
davanti al mio cuore
per farlo vedere alla gente.
Chi sono?
Il saltimbanco dell'anima mia.


(Aldo Palazzeschi)