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lunedì 20 marzo 2017

Consigli ai politici



Lo confesso: non riesco a farmi piacere la politica né i suoi diretti rappresentanti governativi ed istituzionali. Per rincuorarmi o per avere un atteggiamento positivo nei confronti di questa particolare categoria di soggetti dovrei, forse, rifugiarmi nelle antiche civiltà del passato quando a fare politica venivano chiamati soprattutto gli uomini migliori, i saggi e i filosofi. Chi oggi “scende in campo” per dedicarsi alla res publica non deve avere remore morali e non deve essere dotato di alcuna preparazione specifica: basta che sia furbo e arrogante, magniloquente e senza dignità, amante del potere e dei soldi e privo di vergogna. E che abbia l’abilità di saltare, all’occorrenza, sul carro del vincitore. Tutto il resto arriva dopo: clientele, ruberie, corruzione, arricchimenti personali con i soldi pubblici. Qualcuno dirà: ma in politica esistono anche le persone perbene e oneste, sensibili al ruolo istituzionale per il quale sono state chiamate. Giusto! ci mancherebbe!! Il problema è che quest’ultimi non fanno nulla per allontanarsi dalle malefatte dei primi: li difendono, li coprono, li giustificano... li abbracciano. E li salvano anche di fronte ad un terzo grado di giudizio, calpestando la legge. E allora diventa davvero difficile distinguere i buoni dai cattivi.
E’ noto che la corruzione, il malgoverno, i privilegi a favore della “casta politica” non sono mali che riguardano esclusivamente i tempi moderni. No, perché i favoritismi, il do ut des, gli appoggi agli amici degli amici e gli interessi personali esistevano già nell’antica Grecia, la culla della democrazia, e poi nell’antica Roma. Tant’è che lo storico greco Plutarco indirizzò agli uomini politici del suo tempo una serie di consigli con intenti pratici e morali. Oggi tali scritti, in considerazione dei principi che vi troviamo illustrati, appaiono di straordinaria stringente attualità. In sostanza Plutarco dice che l’ingresso in politica deve essere determinato non già da una infatuazione dettata da vanagloria o spirito di rivalità ma da una volontà chiara e consapevole di operare per il bene comune e di “fare qualcosa di nobile” . E che non bisogna usare tale trampolino per arricchirsi. Il politico - dice sempre Plutarco – deve scegliersi dei collaboratori molto competenti, specialmente in quei settori in cui lui non ha capacità specifiche, tenendo presente che la corruzione è sempre in agguato e che è il male peggiore, la morte della democrazia. Ritiene, inoltre, riprovevole quel comportamento plateale tenuto dai politici nei pubblici dibattiti (i nostri talk show televisivi…) e a tal proposito scrive: “vi sono anche di quelli che, smaniosi di popolarità e ammalati di protagonismo, affrontano gli avversari in pubblici dibattiti come se fossero attori di teatro…”. La dote fondamentale del politico, secondo il filosofo greco, deve essere la trasparenza, una condotta esemplare da tenere non solo in pubblico, nell’esercizio delle proprie funzioni, ma anche nella vita privata, affinché sia immune da qualsiasi biasimo o accusa: “la gente infatti, - scrive Plutarco - è curiosa di sapere non solo quello che fa o dice in pubblico, ma anche cosa mangia, dove e con chi, quali sono i suoi amori, come va il suo matrimonio, qualunque fatto, insomma, sia esso frivolo o serio, che investa la sua sfera personale”.

E possiamo solo immaginare cosa avrebbe pensato il tribuno dell’antica Roma Livio Druso delle attuali intercettazione telefoniche, per le quali oggi i nostri politici (si fa per dire) chiedono severe restrizioni (ma basterebbe non delinquere mentre si parla al telefono…). Plutarco narra che questo tribuno, eletto dall’assemblea del popolo – il quale, tra l’altro, aveva il potere di invalidare le sentenze dei magistrati ritenute lesive dei diritti di un plebeo - “avendogli un artigiano proposto, per cinque soli talenti, di orientare e sistemare diversamente quelle parti della sua abitazione ch’erano esposte alla vista dei vicini, rispose: te ne darò dieci se renderai trasparente tutta la mia casa, affinché tutti i cittadini possano vedere come vivo”.
Altri tempi!!…altri politici!!

lunedì 6 marzo 2017

La pancia non c’è più e… “Improvvisa la vita”



Chi ha qualche anno sulle spalle - come il sottoscritto - ricorderà certamente quel famoso spot pubblicitario degli anni ’70, in cui un signore di mezza età si ritrovava improvvisamente obeso e con una enorme pancia che gli impediva di conquistare una donna, salvo poi scoprire che aveva fatto solo un brutto sogno. E allora, felice per lo scampato pericolo, iniziava a saltare leggero come una piuma, urlando: “la pancia non c’è più…la pancia non c’è più!”. Mi è venuta in mente quella divertente scenetta televisiva leggendo il romanzo “Improvvisa la vita” di Ottiero Ottieri (ediz. Bompiani del 1987), dove anche il protagonista del libro - un cinquantenne scapolo in sovrappeso - è dotato di una pancia prominente “origine di tutti i suoi mali morali”. E, purtroppo per lui, non si tratta di un sogno. Alberto, questo il nome, è convinto che con quella ingombrante protuberanza che si porta avanti e di cui si vergogna non può mai piacere alle donne: e lui ha proprio bisogno di una moglie giovane e carina per riscattarsi non solo dal suo lavoro poco gratificante (è impiegato presso una casa editrice di Milano), ma anche dalla sua vita solitaria e dai suoi rapporti occasionali con le prostitute o con le rare amanti, da cui viene immancabilmente abbandonato. Per mettere la parola fine al suo invalidante problema esistenziale, decide di affrontare un percorso salutare che lo porterà, inizialmente, nel sud della Spagna, a Marbella, in un centro di benessere per ricchi chiamato “Casa della Respirazione". Lì scopre un posto davvero prodigioso dove si esercitano quei riti alla moda appannaggio esclusivo dell’alta società, finalizzati al raggiungimento di una perfetta forma fisica; il posto giusto dove la sua pancia - tra saune, massaggi, digiuni ed esercizi fisici – “sarebbe rientrata in dentro come una fisarmonica premuta”. E, per lui, finalmente sarebbe sbocciata improvvisa la vita. Inoltre – prima di proseguire il suo viaggio alla volta dell’Africa (Casablanca, Marrakech…) fa la corte, ma con scarsi e ridicoli risultati, prima ad una marsigliese e poi ad una enigmatica olandese, di cui si innamora.
Ottieri, il “notissimo sconosciuto” – come ebbe a scrivere di lui la critica letteraria Carla Benedetti – era uno scrittore che apparteneva a quella corrente letteraria che va sotto il nome di letteratura industriale, di cui facevano parte autori come Bianciardi, Volponi, Primo Levi, Parise ed altri. Infatti il romanzo “Donnarumma all’assalto” è il libro più conosciuto di Ottieri ( nato a Roma nel 1924 da genitori toscani e morto a Milano nel 2002), la cui storia ha origine proprio dalla sua diretta esperienza lavorativa, negli anni ’60, come capo del personale nella fabbrica Olivetti di Pozzuoli. Ma Ottieri è stato anche “narratore della psiche” (peraltro lui stesso si sottoponeva a sedute di psicoterapia), visto che con i suoi libri è riuscito ad indagare in profondità l’animo umano in tutte le sue innumerevoli sfaccettature, compresa quella ironica e burlesca che ritroviamo nel romanzo “Improvvisa la vita”. Il suo antieroe, protagonista del libro, appare come una contraddizione vivente perché è povero ma è andato a curarsi in una Casa per miliardari, è comunista ma odia la lotta di classe ed ha un padre missino, è un letterato ma non scrive e viene pagato per leggere i libri degli altri, ama le donne ma le teme e ne ha paura, cerca di vivere ma è ossessionato dalla morte. Credo che un individuo così non avrebbe sfigurato in un romanzo di Italo Svevo perché ricorda molto quella tipica figura sveviana che è l’inetto. Ed infatti, così come Zeno Cosini o Emilio Brentani risultano affetti da quella evidente incapacità di vivere appieno la propria esistenza, subendo gli eventi anziché dominarli, anche il personaggio che esce dalla penna di Ottieri tende a vivere più con la fantasia che nella realtà. Oppresso dalla sue frustrazioni, pieno di inibizioni e di insoddisfazioni, timido e impacciato per natura, il nostro Alberto è portato ad isolarsi e a dare tutte le responsabilità dei suoi fallimenti a quella sua maledetta pancia. Insomma, lui soggiace a quel condizionamento fisico anche se il suo vero problema è che  ha difficoltà ad intrattenere normali rapporti con gli altri ed in particolare con il sesso femminile. Ama le donne, sente forte il richiamo del loro fascino, vorrebbe intraprendere una giusta ed appagante relazione sentimentale, tuttavia quando si ritrova a dover dare il meglio di sé, si blocca in maniera imbarazzante. E l’autore, anziché soccorrerlo ed assisterlo per questa sua evidente inadeguatezza, sembra invece volerlo quasi canzonare e divertirsi beffardamente alle sue spalle. Ma per fortuna c’è il lettore il quale non può che venire incontro a questo panciuto personaggio – specchio emblematico dei suoi fallimenti - offrendogli la sua solidarietà e la sua umana simpatia. Lo scrittore, con una prosa scorrevole, porta avanti un racconto godibilissimo, dominato dal gioco sottile dell’ironia con scenari narrativi che vanno dal malinconico al grottesco. E con un finale che nessuno si aspetta.